di Ciro A. R. Abilitato
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L’accidia è il maggiore dei mali dei nostri tempi. Essa non consiste nella semplice inoperosità, nella mancanza di volontà ad agire, ma è una vera apatia morale, una fredda indifferenza che si caratterizza come una forma di cecità interiore che impedisce di operarare il bene comune. Accidioso non è perciò soltanto il neghittoso, lo svolontato, lo svogliato, l’abulico, colui che non fa niente per pigrizia o perché non trova una ragione sufficiente che lo spinga ad agire, ma soprattutto chi è indifferente ai problemi dei suoi simili, chi si è abbandonato al più torvo cinismo e non insegue che il proprio esclusivo piacere e il proprio personale tornaconto. Il termine giunge alla nostra lingua dal tardo latino acēdia, che a sua volta è un calco del greco akedìa, composto da alfa privativo e kedìa “cura, sollecitudine”, ma anche “dolore, affanno”, da cui il significato di “mancanza di cura, di sollecitudine, di pensiero, di pena, di duolo”. Insomma, l’accidia è il non darsi pensiero, il non darsi pena, il non provare dolore verso qualcosa che dovrebbe invece suscitare amarezza e indignazione. Sinonimo di accidia è la parola indolenza, che definisce la condizione di chi non avverte dolore, di chi non si dà pena, e quindi di chi è insensibile. Altro sinonimo di accidia è la parola ignavia, anch’essa latina, che indica non solo mancanza di volontà e di forza morale, ma anche debole apertura mentale e perfino mancanza di riconoscenza, la quale è tipica della viltà e dell’infingardaggine di chi rimane costantemente concentrato su se stesso e legato a formalismi di convenienza che soffocano il pensiero critico e il sentimento di unione con gli altri. In altre parole, l’accidia è una infermità della sensibilità interiore che si caratterizza come una incapacità di sentirsi parte di una società di simili e di adoperarsi per il bene comune. Accidioso è perciò sia chi sciupa il proprio tempo e cade nella noia, non sapendo trovare interessi che nutrano la sua anima e possano farlo sentire parte di una comunità di persone; sia chi pensa esclusivamente a se stesso e non vede nient’altro intorno a sé se non ciò che materialmente gli giova o gli nuoce. Anche il contemplativo e l’intellettuale cadono nell’accidia allorché, distaccandosi eccessivamente dalla realtà umana, non provano più interesse per i loro simili e per la loro condizione. Si tratta perciò di una forma di indolenza morale che rende le persone insensibili a qualsiasi fatto umano che non le tocchi direttamente. È una forma mentale che somiglia ad una vera e propria cecità. In altre parole, l’accidioso è del tutto incapace di porsi nei panni dell’altro. Non prova empatia, rimane estraneo allo stato d’animo delle persone con cui interagisce, non comprende una questione se questa non lo riguarda personalmente, per cui il suo giudizio sulle cose rimane sempre superficiale e soggettivo. Chi è affetto da questo male interiore, che intacca in modo più o meno grave la capacità di percezione globale della realtà, manca di una visione complessiva e distaccata delle cose, perché tutto è rapportato a sé. Tuttavia l’accidioso sa fingere i sentimenti che non prova, e in molti casi usa calcolatamente questa sua abilità per ottenere dagli altri benefici materiali. L’accidia non è solo un vizio molto diffuso nelle società moderne, ma anche una delle forme di alienazione più distruttive che interessino tanto l’individuo quanto la collettività. L’acciodioso è in sostanza una persona affetta da infermità morale, mentalmente chiusa, incapace di assumere un punto di vista diverso da quello verso cui è spinta dal proprio individualismo.