LA LOGICA DELL’INDAGINE

di Ciro A. R. Abilitato

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Notizia vera riportata dai giornali il 6 aprile 2012

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TROVATA DONNA SGOZZATA NEI PRESSI DEL SUO CASOLARE. GLI INQUIRENTI IPOTIZZANO CHE IL DECESSO SIA AVVENUTO PER CAUSE NATURALI!

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Si immagini come avranno ragionato gli inquirenti:

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– Collega, come puoi osservare, il soggetto appare sgozzato, ed è dunque naturale che sia morto! Hai mai visto qualcuno che dopo essere stato sgozzato se ne sia andato al bar a prendersi un caffè con la testa penzoloni tra le spalle?

– No di certo, collega! Si direbbe perciò che il soggetto sia deceduto a causa del sopraggiungere della morte, dunque per cause naturali. Il taglio alla gola non è un dato oggettivo attendibile, non ci consente di affermare con assoluta certezza che sia stato la causa del decesso del soggetto che qui vediamo con un taglio alla gola. Pertanto non si può parlare di assassinio. La morte è sopraggiunta perché al soggetto è venuto a mancare il respiro. Magari perché ha visto passare in lontananza un assassino e si è spaventato. È anche possibile che si sia visto improvvisamente l’assassino davanti e che, spaventatosi, sia caduto sul suo pugnale sgozzandosi.

– Infatti, collega! Ma può anche darsi che il soggetto sia morto nel momento in cui si è trovato di faccia l’assassino, e che poi questi lo abbia sgozzato. Infatti, il criminale, sapendo di essere un assassino incallito, ha pensato che avrebbe potuto essere automaticamente incolpato del fatto. In tal caso, come avrebbe potuto discolparsi? Si può mai dire di un assassino che non è assassino? Se pure l’eventuale assassino non fosse stato l’assassino, sarebbe stato pur sempre un assassino. E un assassino non sarà sempre da condannare?

– Ecco collega, ci sei arrivato! Dunque l’eventuale assassino può aver agito solo a motivo di un danno temuto.

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Oppure:

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– Toh, collega, un soggetto sgozzato! Ora, al di là di ogni ingannevole apparenza, c’è da chiedersi quale sia stata la vera causa del suo decesso. Quale il motivo che un eventuale astuto criminale abbia cercato abilmente di occultare. Il soggetto può infatti essere morto prima, durante o dopo lo sgozzamento.

– Giusto collega! In ogni caso, qualcosa deve essere accaduto al soggetto per determinarne la morte. Sarà forse questo che un eventuale criminale, trovatosi a passare di qui per caso, può aver voluto nascondere. In tal caso egli non può essere responsabile della morte del soggetto, sempre volendo ammettere per assurdo che ci sia stato un assassino.

– Guarda, collega, hai toccato nel segno! Del resto noi non possiamo nemmeno affermare con assoluta certezza se il soggetto abbia esalato l’ultimo respiro o se lo abbia trattenuto, o se sia effettivamente passato all’altro mondo. Tu, per esempio, collega, sei sicuro di poter dire di trovarti in quest’altro mondo? Non può essere l’inverso? Che noi siamo di là e che il soggetto sia rimasto di qua, ossia dall’altra parte? Insomma, ci siamo capiti, no?

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Come è facile osservare, sia la prima che la seconda deduzione sono o l’esatto contrario del motto “post hoc ergo propter hoc” [dopo di ciò, duque a causa di ciò], o discendono da una sua più stretta applicazione, come a dire: che la donna sia stata sgozzata non significa che sia morta dopo lo sgozzamento, può infatti essere morta prima, a causa, che so, di uno spavento, e poi dopo essere stata sgozzata; oppure: essendo venutole a mancare il respiro ed essendo venuto ad interrompersi il circolo sanguigno al cervello, la donna, dopo lo sgozzamento, è morta. Dunque la causa non è lo sgozzamento. Naturalmente, che il soggetto fosse una donna è un particolare che è stato poi arbitrariamente aggiunto dai cronisti accorsi sul luogo dove in una pozza di sangue giaceva il soggetto trovato sgozzato. D’altra parte, non si può nemmeno dire che il soggetto fosse effettivamente morto. Perché, in fin dei conti, cos’è poi la morte? Se si riflette un po’ più a lungo sul concetto, è possibile che si finisca col non trovare più nessuna distinzione tra la nozione di vita e quella di morte, fino al punto da veder crollare ogni certezza sullo stesso stato della propria esistenza. In biologia ciò accade nel caso dei prioni, i quali, pur manifestando certe attività tipiche degli organismi viventi, a rigore non possono essere considerati tali, in quanto non sono nemmeno provvisti di acidi nucleici. Un tempo, prima della scoperta di questi acidi, il primato di esseri definiti viventi-non viventi (una specie di zombie posti al limite del regno dei viventi e di quello dei non viventi) era detenuto dai virus. Ma torniamo al nostro argomento. La forma corriva di ragionamento messo in atto dai due indagatori del racconto è un tipico esempio di ferrea inferenza scientifica offerta in versione popolare, cioè entimematica, che è un tipo di ragionamemto imperfetto, solo apparentemente accettabile. Vi cadono addirittura i tecnici qualificati della scientifica e, strano a dirsi, persino persone impegnate nei più diversi campi della scienza. Non manca, comunque, chi affibbia la colpa di tutto al motto citato, sostenendo che esso induca in errore per via di una sottile incoerenza interna. La famigerata massima non fa altro che rendere in forma sintetica un procedimento tipico del ragionamento indagativo, che in sé non è sbagliato, in quanto non è mai accaduto che gli avvenimenti della reatà si siamo prodotti in ordine temporale inverso, e che l’effetto sia divenuto causa della sua causa, e questa effetto del suo effetto. La massima è dunque, sotto questo aspetto, valida. Ciò nondimeno, essa è di solito ritenuta la responsabile di quel modo di ragionare secondo cui chi per primo viene trovato accanto alla vittima, quello ne è considerato l’assasino. E di solito così è, perché comunque viene ad essere il primo appiglio, il primo ad essere sospettato e indagato dalla polizia. Questa volta, però, gli inquirenti hanno escluso che possa esserci stato un assassino o che un assassino sia stato responsabile del fatto, e questo per attenersi a un criterio da loro considerato più stringente e oggettivo, in modo da non cadere nell’errore additato dalla sentenza latina. Tuttavia essi cadono ugualmente in errore; anzi complicano ancor più le cose e peggiorano la situazione, mentre la massima ne esce in tutto e per tutto integra e pienamente confermata. È garantito che in tutto questo la massima non c’entra affatto, perché essa, appunto, non fa altro che mettere in evidenza certi modi affrettati e superficiali di giungere a una conclusione logica, i quali tengono conto soltanto della successione temporale di causa ed effetto nel prodursi di un evento osservabile, e non di altre relazioni che pure è necessario ricercare. Di consueto, le altre relazioni tra i fatti che riguardano la scena di un delitto vengono ricercate attraverso l’individuazione di un movente, ma tali relazioni tra le cose devono essere a loro volta confermate da prove, sia di fatto che argomentative, che abbiano stretta connessione con i fatti evidenziati. In buona sostanza, la massima è logicamente e formalmente corretta in ordine al suo fine, né cade in contraddizione con i fatti dell’esperienza. A ciò si aggiunge poi che un conto è ricercare la causa di qualcosa, come per esempio di un evento naturale, un altro è ricercare chi sia responsabile di un fatto, cioè di un avvenimento implicante comportamento cosciente e volontà. Nel primo caso, infatti, la causa più attendibile è sovente la più prossima all’effetto, mentre nel secondo caso la causa reale può essere anche molto lontana dalla sua conseguenza più evidente. È pertanto necessario distinguere tra causa materiale o fisica, detta anche causa efficiente, tra causa semplice o multipla (in quest’ultimo caso avendosi la nozione di concausalità), tra reo e vittima, tra esecutore materiale, mandante e complice, e ancora, distinguendo tra motivazione, condizione e occasione. Talvolta è difficile distinguere tra una condizione e una concausa, per il fatto che le condizioni somigliano spesso alle cause, tuttavia il motto è pur sempre valido. Spetta a noi ritrovare, di volta in volta e caso per caso, le effettive relazioni tra le cose. Solo quando avremo trovato le relazioni valide e saremo in grado di fornire le prove più convincenti dei fatti osservati, potremo finalmente dire: ecco, dopo di ciò e a causa di ciò, a motivo di quanto intercorre tra ciò e il fatto riconosciuto come suo effetto! A questo punto il problema però è che, a prove considerate in un primo tempo convincenti, possono subentrarne altre più convincenti… Quindi, ancora una volta si potrà dire, a chi abbia portato le prime prove invalidate dalle ulteriori: “post hoc, ergo propter hoc”. Insomma, ride bene chi ride ultimo! A tal proposito è da osservare che il titolo dell’articolo che riportava la notizia, appartiene a quel genere di titolazioni sibilline del tipo: “cane rincorso e morso per strada da uomo ringhiante”. Infatti, esso lascia aperte diverse possibilità, come per esempio quella che la donna trovata sgozzata nei pressi del suo casolare, possa essere morta − prima o dopo lo sgozzamento − per cause soprannaturali. Questa possibilità è stata lasciata intuire al lettore tra le righe, forse perchè ritenuta più ordinaria e di conseguenza di minor effetto.

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NOTA

Nella vita pratica quotidiana, su questo fatto, ossia sulla ricerca della miglior prova, fondano la loro fortuna medici e procuratori legali. Quando si creano danni a causa di ragionamenti insufficienti, a rimetterci sono naturalmente le singole persone, cioè i clienti più sfortunati di questi professionisti. Per quanto riguarda ingegneri, geologi, fisici e affini, la loro fortuna consiste nell’avere conoscenze politiche abbastanza influenti da essere assunti nella protezione civile italiana, dove normalmente smettono di essere persone coscenziose e precise, con grave pericolo per l’intera popolazione, sia in caso di mobilitazioni di massa, sia anche in assenza di calamità naturali. Nel primo caso gli effetti sono individualizzati, nel secondo generalizzati. Avidità e brama di favori personali sono i moventi comuni. Cinismo, esteriorità, sommarietà e imperizia le cause.

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