ERMELLINI NERI

di Ciro A. R. Abilitato

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Da quale abisso avanza e prende forma il male, e come si insinua nelle azioni degli uomini? Da quali tenebre scaturisce l’iniquità, l’abiezione morale, la sofferenza, così come tutte le forze cieche che conducono allo scempio del bello, all’infelicità, alla rovina dell’individuo e al disfacimento della società? Quali sembianze assume il male dentro ciascuno di noi? Molti filosofi e scrittori hanno tentato di affrontare questo argomento sin dai tempi antichi e da angolazioni diverse, spianandoci la strada in un campo di riflessione che l’uomo moderno non dovrebbe trascurare. In altri termini, citando le parole usate da Thomas Mann nel Doctor Faustus: “perché invece di provvedere saggiamente a ciò che occorre sulla terra affinché la vita vi sia migliore… l’uomo si abbandona all’ebbrezza infernale?”. È evidente che per rispondere a siffatte domande sia necessaria una conoscenza storica e critica dei fatti umani che non tutti possono avere, perché una simile conoscenza si ottiene soltanto dedicandovi l’intera vita. Ciò nonostante alcune risposte possono venirci suggerite da scrittori che hanno trovato un modo piacevole e trascinante, attraverso le loro opere, di sollecitarci a simili riflessioni. Tra questi è senza ombra di dubbio Michele Prisco (Torre Annunziata, Napoli, 1920-2003), uno dei più importanti scrittori del secondo Novecento italiano, molto apprezzato sia dal pubblico che dalla critica, che nel romanzo “Gli ermellini neri”, pubblicato per la prima volta nel 1975, affrontò in modo originale e realistico questo tema di immutata attualità; un tema impegnativo e delicato, che egli seppe tuttavia magistralmente sviluppare in una prosa morbida ed elegante dall’andamento compassato, attraverso la quale si dipana inesorabile e con intreccio avvincente la storia di una interiorità negativa e nefasta consegnata alle pagine di un memoriale, e a cui fanno da contrappunto le note e le lucide osservazioni di un diario redatto da un osservatore esterno. Un racconto, dunque, di impianto psicologico, introspettivo, che ha insieme i caratteri del giallo di gusto metafisico e quello della riflessione filosofico-esistenziale, nel quale progressivamente si delinea il quadro di una personalità inquietante, quale è quella di un profanatore d’anime, che con luciferina astuzia conduce sistematicamente le sue vittime nella direzione di un destino crudele e irrevocabile; un destino di infelicità, di dannazione e di rovina, perché le sue cause non sono esterne ma interiori e profonde. Il titolo del libro intende istituire un efficace parallelo tra la personalità di certi uomini e alcuni tratti tipici dell’aspetto e del comportamento degli ermellini, i quali, s’intende, nulla hanno di per sé stessi e nulla sanno della stupidità e della deliberata cattiveria degli esseri umani.

L’ermellino è un piccolo carnivoro della famiglia dei Mustelidi, feroce e aggressivo, ma dall’aspetto innocente. La sua caratteristica principale consiste in uno spiccato mimetismo. Può infatti mutare il colore della pelliccia al variare delle stagioni. In estate il manto dell’ermellino è di colore rosso-castano sul dorso e biancastro con sfumature giallognole nella parte inferiore del corpo; d’inverno, invece, la pelliccia è più folta e morbida, completamente candida, ad eccezione della punta della coda, che rimane di colore nero in ogni stagione. Il corpo, la cui lunghezza varia dai 18 ai 32 cm, è lungo e slanciato, con corte zampe. Si muove con destrezza e agilità in tutti gli ambienti (sulla neve, tra le rocce, sugli alberi ed in acqua) e la sua attività di predatore si esplica sia di giorno che di notte. I colori mimetici del mantello e la sveltezza con cui si muove lo rendono particolarmente temibile per le sue prede e difficilmente avvistabile. È molto simile alla donnola, da cui si distingue per le più piccole dimensioni e per il ciuffo nero all’estremità della coda. Curioso è il suo comportamento nell’avvistare un estraneo addentratosi nel suo territorio: corre subito a nascondersi, ma a tratti lo si vede improvvisamente ricomparire a spiare i movimenti dell’intruso, che via via è sospinto in una trappola.

Come gli ermellini, gli uomini rimangono idealmente segnati da una macchia di atavica memoria, che è un segno della loro connaturata predisposizione a compiere il male. In genere tale predisposizione o possibilità è tenuta sotto controllo dalla ragione e mitigata da fattori diversi, quali cultura, educazione, costumi sociali, temperanza morale ecc., cui si uniscono caratteristiche personali quali buon senso, sentimenti di altruismo e di umanità, senso di giustizia e così via. Ciò nonostante, sotto la spinta di particolari impulsi o motivazioni, questa componente della natura umana può dar luogo a condotte che contrastano con i sentimenti più sani che regolano il comportamento degli uomini all’interno della società in cui vivono. L’ermellino nero, che in natura non esiste, rappresenta invece simbolicamente un tipo di personalità particolarmente incline ad un certo tipo di male. Non si tratta di persone irrazionali, ma di persone dotate di una fredda razionalità e di una forma di sensibilità invertita, spregevole, in quanto godono del male degli altri. Il romanzo di Michele Prisco “Gli ermellini neri” descrive in modo molto efficace un tipo di personalità negativa di questo genere, la cui principale caratteristica consiste in una speciale predisposizione al male, la quale non si evidenzia di solito attraverso comportamenti esteriori, perché l’ermellino infonde il male nell’animo di chi non sa reagire alla sua logica negativa e nefasta. Tali individui possono quindi anche non compiere materialmente il male, perché più spesso spingono al male, lo inoculano, traendo piacere dagli effetti che negli altri produce il male da essi instillato. A volte non si accorgono nemmeno di essere loro la causa del male in altre persone. È una vera e propria forma mentis che influisce sottilmente sugli altri indirizzandoli (o aiutandoli!) a sviluppare comportamenti dannosi soprattuto per se stessi. Sono autentiche anime guaste il cui comportamento è sostenuto da un tipo di sentimento che è opposto all’amore, e che non è propriamente l’odio, ma una fredda razionalità alimentata da un forte egoismo più o meno ben celato. Si immagini un educatore, un mentore, un amico con una simile personalità, che sollecita larvatamente chi gli è vicino a sviluppare sentimenti e modi di pensare diametralmente opposti al bene. Poiché siffatti individui non agiscono quasi mai in prima persona a realizzare il male oggettivo, essi rimangono il più delle volte formalmente irreprensibili. Di solito sono persone dotate di un certo fascino e che occupano posizioni influenti o di rilievo o, in qualche modo, invidiabili; un fatto questo di cui si servono per aumentare il loro ascendente sugli altri, catalizzando su di sé un senso di stima e di ammirazione generalizzato. Il loro modo di ragionare appare oggettivo, molto razionale, ma attinge molto anche dal senso comune, per cui tali persone sono generalmente persuasive nei loro discorsi, riuscendo a creare intorno a sé un’atmosfera di complicità. Il loro modo di porsi di fronte alla realtà somiglia a quello di un giocatore di scacchi che abbia studiato ogni mossa dell’avversario e che si sia proposto di vincere la partita facendo leva sugli aspetti più deboli della personalità di chi cade nei suoi tranelli. Si tratta perciò di una forma di malvagità esiziale, perché portata sul piano psicologico. Non c’è praticamente limite alle azioni e ai comportamenti cui possono essere indirizzate le vittime di questi freddi calcolatori del tutto privi di scrupoli morali: ogni azione più vile e abietta può venire indotta nei soggetti prescelti, di solito individui più deboli o persone da parte delle quali tali personalità godono di una forte considerazione o addirittura di notevole stima. Nel romanzo di Prisco, il protagonista della storia, Alvaro Surace, un sacerdote mancato, è una personalità di questo genere, freddamente e razionalmente incline ad infondere il male. Il male vero, infatti, è sempre qualcosa di ineffabile che agisce nel profondo, una volta che sia stato instillato. In questo caso è determinato da un’influenza esterna che può fare addirittura leva su sentimenti di affetto e che attenta subdolamente all’integrità dell’anima. Spesso l’ermellino sorveglia lungamente le sue vittime per poi spingerle di nascosto verso una situazione da cui sarà loro difficile districarsi, e che finirà col portarle alla disperazione, alla miseria, alla malattia e alla morte. La fine delle sue prede è sempre cruenta, miserevole, particolarmente infelice, ed è lo stadio finale di un processo distruttivo che ha lungamente operato nel profondo dell’anima. È molto difficile salvarsi da un simile predatore, ma non è impossibile, soprattutto se la vittima riesce a risolvere i suoi conflitti interiori, a vedere la realtà vera delle cose, a rimettersi con i piedi per terra, e a riconoscere l’amore vero che è a fondamento della vita. Questo tipo di amore è quello che vuole il bene dell’altro e che è capace di soffrire per realizzare questo scopo, anche nascostamente, o perfino scontrandosi con la persona o le persone che sono oggetto di questo amore. Ciò accade perché le ragioni dell’amore autentico sono più forti di ogni altra ragione, ma per salvarsi bisona accorgersi che l’amore costituisce un aspetto essenziale della realtà fisica e umana, bisogna sapere che c’è una legge universale che è ragione, e quindi anche amore, altrimenti si cade inevitabilmente in balia dello sconforto e del cinismo, per cui una cosa vale l’altra e qualsiasi scelta diventa indifferente. Ed è proprio a questo punto che non bisogna mettere capo, perché, come dice Thomas Mann, “vi sono alcuni che necessariamente smarriscono la strada, in quanto per loro non esiste alcuna strada giusta”. Si deve sapere che la Legge cui si conforma l’intero universo è un principio di ragione. Per questo motivo, non di rado, le ragioni di un profondo amore possono venire talmente idealizzate da trasformarsi in un vero e proprio sistema di vita e di pensiero. L’amore spinge a superare quei limiti che impediscono di giungere ad una condizione di maggiore equilibrio e di maggiore completezza interiore, generando una sensazione di serenità, ed è sempre qualcosa che implica evoluzione personale, slancio verso la vita, conoscenza, e che rifugge l’annientamento; una caratteristica questa che si evidenzia soprattutto nelle sue forme più schive e appartate, come quelle che caratterizzano la vita meditativa e la più seria ed autentica ricerca nei campi delle scienze umane e naturali.

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7 risposte a ERMELLINI NERI

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